Nelle scarpe di Giufà (2018)
Giufà è uno dei nomi dati nel tempo a Nasr Eddin Hodja, filosofo turco vissuto nel XIII° secolo, la cui poliedrica figura – attraverso rotte commerciali, migrazioni, conflitti – venne variamente accolta tra le genti delle sponde del Mediterraneo, divenendo protagonista di molti aneddoti popolari.
Storie che lo vedono chiamato di volta in volta Nourredine, Khodja, Guha; o trasfigurato in Manuel Tolo in Portogallo, in Giuccamatta in Toscana, o appunto come Giufà in Sicilia. Mutando di personalità, Giufà/Nasr Eddin ora è furbo, ora ingenuo; ora è vecchio, ora giovane. Lo trovi saggio maestro di vita, a dispensare giudiziose sentenze; altre volte è visto come bizzarra macchietta, capace tuttavia di furbesche trovate. E qualche volta invece del tutto matto, intento magari a levar la luna dal pozzo in cui si riflette.
Un testo originale, una storia che attraversa i confini
A questa poliedrica figura popolare è ispirato Le scarpe di Giufà, l’ultimo lavoro drammaturgico della regista Laura Fatini e della Nuova Accademia degli Arrischianti, che ha inaugurato al Castello di Sarteano l’edizione 2018 del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano.
La piéce si svolge all’aperto, partendo dalla piazza del paese, nella suggestione della notte, sino a raggiungere l’antico maniero. Racconta in vari episodi gli svariati volti di Nasr Eddin, che incontriamo dapprima nella sua versione sicula. Indossate con fatica le scarpe cui non è abituato, e presa in braccio la porta di casa – la madre gli aveva raccomandato “Quando esci, tirati dietro l’uscio” – lo sprovveduto Giufà (qui Calogero Dimino) ci porta a conoscere man mano i suoi alter ego Nasreddine (Andrea Storelli), Nourredine (Francesco Pipparelli), Guha (Giordano Tiberi), Khodja (Pierangelo Margheriti). Incontriamo in loro compagnia il Sultano e la sua corte (Flavia del Buono), Il Povero e il Macellaio (Matteo Caruso e Giacomo Testa), il Pescatore (Francesco Storelli), e così tante figure femminili da non poterle nominare tutte.